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paolo

Lo scorbuto nella storia dell’uomo.

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Lo scorbuto è una malattia caratterizzata da apatia, debolezza, formazione di lividi, emorragie cutanee, sanguinamento gengivale e gonfiore delle gambe; se non curato può essere mortale.

E’ causato dalla carenza di un fattore nutrizionale fondamentale: l’acido ascorbico o vitamina C, contenuta negli alimenti freschi. L’assunzione di un’adeguata quantità della vitamina previene o cura la malattia, che al giorno d’oggi è diventata rara e quasi dimenticata.

Le prime descrizioni.

Lo scorbuto è una malattia antica come l’uomo e ne troviamo la prima descrizione nel papiro di Ebers, un testo scritto a Tebe nel 1550 a.C., che descrive malattie, sintomi, diagnosi e rimedi, con relative preghiere e incantesimi; per il trattamento dello scorbuto si raccomanda il consumo di cipolla e vegetali in genere.

un foglio del papiro di Ebers

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C’è chi nel Vecchio Testamento interpreta la malattia di Giobbe come scorbuto e allora sarebbe significativo l’accenno al potere dell’alimentazione vegetariana, quando il Signore dice a Giobbe: “Guarda l’ippopotamo che ho fatto al par di te; esso mangia l’erba come il bove. Ecco la sua forza è nei suoi lombi, e il vigor suo nei muscoli del ventre… Esso è il capolavoro di Dio… perché i monti gli producon la pastura…” (Giobbe 40; 15-20).

Gli Ebrei dell’epoca si nutrivano di carne, latte, orzo e frumento, tutti cibi poveri di vitamina C; non solo, ma cucinavano in pentole di rame che distruggevano l’attività residua della vitamina.

Anche testi indiani del 600 a.C. parlano della malattia.

La malattia verrà poi descritta da Ippocrate (460 a.C - 370 a.C.): “I sintomi della malattia sono i seguenti: la bocca diventa cattiva; le gengive si staccano dai denti, il sangue scorre dalle narici. talvolta si sviluppano ulcerazioni sulle gambe, alcune di esse guariscono altre no e il loro colore è nero, la pelle è assottigliata”.

ippocrate opera omnia copertina

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pagina dove si tratta lo scorbuto (lienes magni)

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Sarà menzionata da Celso (25 a.C. – 50 d.C.), da Galeno (129-216) e da altri fino all’arabo Avicenna (980 – 1037).

Plinio il Vecchio nella sua Historia naturalis descrive il flagello che colpisce le legioni romane accampate sul Reno, mentre Strabone riferisce su un’epidemia di scorbuto fra le truppe romane in Arabia agli ordini del prefetto Gaius Aelius Gallus, sotto il regno di Augusto.

Nel tardo Medioevo i riferimenti alla malattia vengono poi a mancare quasi del tutto, a parte un paio di citazioni riferite al tempo delle Crociate e qualche informazione sui vichinghi.

Nel 1260 il Sire di Joinville descrive nelle sue memorie i sintomi dello scorbuto sui crociati, che essi attribuivano al consumo di un pesce, il barbo: “…un pesce vorace che si nutre anche di carogne”.

I vichinghi (guerrieri scandinavi e danesi) chiamavano la malattia “skyrbjugr”, un termine usato per la prima volta intorno all’anno 1000, perché pensavano fosse dovuta all’ingestione di latte inacidito che portavano a bordo dei loro drakkar con le altre scorte di cibo e bevande nel corso dei lunghi viaggi per mare (skyr = latte acido, bjugr = malattia). Sapevano però come combattere questo male, infatti gli Arabi riferiscono che i vichinghi giunti fino al Mediterraneo portavano con sé barilotti pieni di more di rovo.

Gli antichi norvegesi sapevano che anche i cavoli, l’angelica (Angelica archangelica) e l’aglio potevano prevenire lo scorbuto; queste piante venivano quindi coltivate nei giardini delle case e chi fosse stato sorpreso a rubarle sarebbe stato severamente punito.

un drakkar vichingo

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A proposito della parola “scorbuto”: il termine è stata usato per la prima volta nel 1556 dal medico danese Johannus Echthius che chiamò la malattia “scorbutus” latinizzando la parola danese scorbuck, che come le forme scandinave skjoerbug e skörbjugg proverrebbe dal vichingo skyrbjugr.

In inglese le forme più antiche sono scarby e scorby; nel 1586 il navigatore sir Thomas Cavendish descrive gli effetti curativi di un’erba chiamata “scurvygrass” (Cochlearia officinalis) e nel 1589 appare per la prima volta il termine skurvie, da cui l’attuale scurvy.

L’epoca dei lunghi viaggi di navigazione.

E’ alla fine del XV secolo che le informazioni sullo scorbuto tornano prepotentemente alla ribalta, in coincidenza dei lunghi viaggi d’esplorazione via mare, durante i quali si consumavano progressivamente le limitate quantità corporee di acido ascorbico fino a che non era possibile reintrodurre cibo fresco.

La leggenda vuole che alcuni marinai portoghesi di Colombo ammalassero di scorbuto durante il viaggio e chiedessero di essere sbarcati su un’isola piuttosto che morire a bordo e sull’isola essi trovassero frutti ricchi di vitamina C. Sulla via del ritorno, passando dall’isola, Colombo ritrovò i suoi uomini guariti dalla malattia: l’isola allora fu chiamata “Curacao” da “cure” (cura, guarigione).

Ma veniamo a fatti più concreti.

Le prime epidemie di scorbuto sul mare vengono descritte dal portoghese Vasco da Gama, il primo europeo a circumnavigare l’Africa nel 1497-98, il quale annota che moti suoi marinai si ammalano con gonfiore alle gambe, braccia e gengive e nota i benefici effetti del succo d’arancia.

Vasco da Gama in un ritratto di Antonio Manuel da Fonseca

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C’è un piccolo enigma legato a questa navigazione.

Sappiamo che in assenza di un’alimentazione adeguata i sintomi della malattia compaiono dopo circa 10 settimane; dopo la partenza da Lisbona il navigatore si ferma alle isole di Capo Verde e da qui salpa per l’oceano aperto, per prendere terra presso il Capo di Buona Speranza 16 settimane più tardi. All’arrivo nessuno dei suoi marinai era ammalato (lo scorbuto apparirà solo più avanti nel corso del viaggio) e sappiamo che a bordo non erano stati imbarcati agrumi: si deve dedurre che la sua flotta di tre vascelli abbia raggiunto segretamente le coste sudamericane, fermandosi in Brasile (ufficialmente scoperto nel 1500 da Pedro Alvares Cabral) prima di riprendere il suo viaggio verso l’India.

La prima spedizione navale olandese verso le Indie Orientali salpa nel 1595 dall’isola frisona di Texel e raggiunge Giava per tornare in patria due anni dopo con soli 89 dei 249 uomini d’equipaggio iniziali; la maggior parte era deceduta a causa dello scorbuto. La successiva flotta del 1598 caricò a bordo succo di limone, rafano e coclearia, e perse solo 15 uomini.

Fu proprio la Compagnia Olandese delle Indie Orientali a iniziare nel 1652 la realizzazione dell’approdo di Città del Capo come scalo per le navi dirette e provenienti dall’Oriente, in modo che gli stremati equipaggi potessero trovare cibo fresco, particolarmente vegetali, e fu attrezzato un ospedale che poteva ospitare fino a 400 pazienti, proprio per curare le epidemie di scorbuto e le non rare epidemie di tifo.

rifornimento di cibo fresco

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Nonostante ciò il viaggio era ancora rischioso, in particolare se condizioni marine avverse o venti contrari ritardavano l’arrivo, tant’è vero che nel 1693 la Goude Buys, arrivò al Capo con soli dodici membri d’equipaggio dei 194 salpati dall’Olanda e ancora oltre cinquant’anni dopo, nel 1747, la Reyersdal finì per incagliarsi sulle coste sudafricane perché dopo oltre quattro mesi in mare erano sopravvissuti solo 25 uomini dell’equipaggio, la maggior parte dei quali troppo indebolita per poter governare la nave.

Non devono quindi meravigliare troppo le storie di gaeloni alla deriva nell’oceano privi di equipaggio.

Anche il Mayflower, il vascello sul quale i Padri Pellegrini lasciarono l’Inghilterra il 6 settembre 1620 per giungere a Cape Cod, Massachusetts, l’11 novembre successivo, perse 50 dei 102 imbarcati, la maggior parte per scorbuto.

un francobollo che ricorda il Mayflower

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Molti altri grandi navigatori del XVI secolo descrivono lo scorbuto a bordo: tra essi il portoghese Magellano, il corsaro inglese Sir Francis Drake. i francesi Pyrard e Cartier. Quest’ultimo, nel corso di un viaggio transatlantico verso il Canada, scrive:“Una strana malattia comincia a diffondersi tra noi… molti perdono le forze e non riescono a reggersi in piedi… le gambe gonfiano… alcuni hanno la pelle chiazzata di macchie rosse… le gengive marciscono e si ritirano a scoprire la radice dei denti, che finiscono per cadere…” L’equipaggio si ferma a svernare presso un villaggio pellerosse dove imparano a curarsi con un decotto di succo, corteccia e foglie di una conifera, probabilmente cedro bianco, dall’effetto miracoloso: “Se tutti i migliori medici fossero stati qui con i loro farmaci… non avrebbero ottenuto in un anno le guarigioni che abbiamo avuto in sei giorni”.

Nel 1695 il medico di bordo William Cockburn trattò con verdura fresca (carote, cavoli e rape) 100 marinai ammalati con pieno successo.

Una figura fondamentale all’interno di questa storia è quella di James Lind, un ufficiale medico della Royal Navy, che per trovare un rimedio efficace allo scorbuto fece la prima vera ricerca clinica su un gruppo di pazienti, osservando una spettacolare remissione della malattia dopo somministrazione di arance e limoni e pubblicando un famoso trattato sull’argomento (A treatise of the scurvy. Containing an inquiry into the nature, causes and cure of that disease. Together with a critical and chronological view of what has been published on the subject. Edinburgh, 1753). Arrivò quindi a persuadere l’ammiragliato britannico a introdurre a bordo l’uso di un preparato a base di sciroppo di limone per combattere la malattia, facendolo però bollire nel corso della produzione!!!

James Lind cura lo scorbuto a bordo della HMS Salisbury, 1747

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la copertina di "A treatise of scurvy…"

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L’uso del succo di limone, per quanto fosse una buona intuizione, non era però un rimedio sufficiente. Già nel 1601, James Lancaster, commerciante e corsaro che guidò la prima flotta britannica verso le Indie Orientali, imbarcò sulle sue navi il succo di limone per prevenire la malattia. La flotta salpò il 20 aprile e all’arrivo davanti al Capo di Buona Speranza il 1 agosto, 105 marinai erano deceduti, 80 dei quali a causa dello scorbuto; infatti col passare del tempo e ad opera del clima caldo il succo perdeva le sue proprietà. Occorsero ancora parecchi anni perché qualcuno avanzasse l’ipotesi di una perdita di efficacia del succo di limone col passare del tempo e si preferisse imbarcare arance e limoni interi anziché il loro succo.

Anche il grande esploratore James Cook ebbe un’epidemia di scorbuto a bordo della Endeavour nel suo primo viaggio (1768-1771); avendo egli osservato attentamente gli effetti della dieta degli equipaggi di diverse navi sperimentò una quantità dei rimedi proposti all’epoca. Oltre a presidi antiscorbutici discutibili e inefficaci, come malto e birra, volle inserire nell’alimentazione dell’equipaggio la verdura, preferibilmente fresca o conservata sotto sale, patate e noci di cocco; in questo modo nei successivi viaggi tra il 1772 e il 1775 ebbe solo cinque marinai ammalati a bordo.

Naturalmente non mancò chi decise di seguire strade alternative. Forse il maggior disastro fu quello della circumnavigazione del globo del commodoro Anson, per il quale l’Ammiragliato ignorò le esperienze precedenti e preferì sostituire il succo di limone con un elisir contenente acido solforico, alcool, zucchero e spezie. Anson salpò nel 1740 con sei navi da guerra e due da rifornimento, per un totale di 1854 marinai imbarcati; nel 1744 ritornò in patria con una sola nave e 188 uomini. Dei 1415 deceduti, 997 erano morti a causa dello scorbuto.

Anche le esplorazioni polari dei primi anni del Novecento furono afflitte dallo scorbuto e pagarono un pesante tributo a causa della difficoltà di procurarsi cibo fresco; tra esse quelle di Robert Scott con la spedizione Discovery (1901-1903) e Ernest Shackleton con la Endurance (1914-1916), che furono solo parzialmente alleviate dal consumo di carne di foca o pinguino.

la Endurance imprigionata tra i ghiacci

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Le epidemie di scorbuto sulla terraferma.

I Nordeuropei (e successivamente gli Americani), in particolare Baltici e Scandinavi, hanno sofferto per secoli a causa dello scorbuto, che era una malattia endemica che si rendeva più evidente soprattutto verso la fine degli inverni più rigidi.

Fra le terapie più consolidate troviamo cavoli e aghi di pino, ma non mancano le descrizioni di rimedi alquanto fantasiosi: per esempio, il dottor John Hall, genero di William Shakespeare (siamo a metà del Seicento), curava lo scorbuto distillando una birra contenente anche erbe come coclearia, crescione e veronica. Altri proponevano miscele di acqua, vino bianco, erbe e succo d’agrumi.

Nel Seicento lo scorbuto era un problema molto serio in Danimarca e Norvegia; nel 1645 il re danese Cristiano IV ordinò alla facoltà di medicina dell’università di Copenhagen di realizzare un libricino sulla prevenzione e cura della malattia, da diffondere tra la popolazione. Nel volumetto di 16 pagine pubblicato nello stesso anno si precisava che lo scorbuto, considerato malattia ereditaria e infettiva, era causato da una dieta non corretta (farinacei, carne secca e pesce conservato) e si puntualizzava l’importanza del consumo di verdura.

L’introduzione della coltivazione delle patate in Norvegia intorno al 1750 ha contribuito a eradicare la malattia in quella nazione.

Alla fine del XVII secolo era ben noto che nei paesi dell’Europa meridionale, come Spagna e Italia, lo scorbuto era un malattia rara, perché si mangiavano ”abbondanti quantità di ortaggi e frutti”. Si diceva infatti che “dove si trovano liberamente succulente erbe e radici e frutti, come limoni e arance, non si ha timore dello scorbuto”.

Procurarsi i limoni per la prevenzione e la cura dello scorbuto poteva anche essere un problema politico e militare. In Inghilterra prima del 1796 i limoni provenivano principalmente dalla Spagna, ma quando tale nazione divenne alleata della Francia i limoni furono importati dal Portogallo. Nel 1798 Nelson conquistò Malta e dal 1803 i limoni per la Marina britannica vennero importati dall’isola (e dalla Sicilia).

Dal 1860 l’Ammiragliato stipulò un contratto con le piantagioni delle Bermude per la fornitura di succo di lime alla flotta, al posto del succo di limone dall’Europa, convinti della bontà della scelta anche dalla maggiore acidità del nuovo prodotto. La conseguenza di questo malaugurato cambio (il lime contiene metà vitamina C rispetto al limone) è ben descritta da un medico di bordo che nel 1863 lamentava come i casi di scorbuto fra i marinai tornassero ad aumentare e che “Ben poche navi… riescono a percorrere un viaggio di più di tre o quattro mesi senza essere visitate dalla pestilenza”.

Il Times scoprì anche che un grande quantità del cosiddetto succo di limone fornito alle navi destinate ai lunghi viaggi, non conteneva succo dell’agrume, ma era realizzato a basso costo in Inghilterra con acido tartarico aromatizzato con essenza di limone per imitare l’originale.

Naturalmente la malattia trovava terreno fertile in guerra, nelle prigioni, orfanotrofi e istituti di correzione, e nelle abitazioni povere in genere.

Lo scorbuto era comune fra le popolazioni sotto assedio; nell’assedio di Gibilterra del 1780 la malattia causò una “atroce devastazione”, ma poté essere poi debellata in pochi giorni dopo la cattura di un’imbarcazione proveniente da Malaga carica di arance e limoni; il succo degli agrumi fu somministrato aggiungendo una parte di brandy a 6 parti di succo!

Nel 1700, in Svezia, l’esercito fu risparmiato dal’epidemia di scorbuto che affliggeva i civili perché il medico reale Urban Hjärne aveva ordinato che ogni soldato bevesse una pinta di birra nella quale erano stati macerati aghi di pino freschi.

E quando un’epidemia colpì l’esercito imperiale in Ungheria si inviarono erbe che avrebbero dovuto curare la malattia, ma che si rivelarono inefficaci perché erano state precedentemente essiccate.

Nel XIX secolo lo scorbuto in mare è minimo, mentre la scarsità di verdura fresca, particolarmente in inverno, lo rende diffuso tra le truppe di terra. Importanti epidemie di scorbuto si registrarono durante la guerra di Crimea (23000 casi registrati nelle sole file francesi); durante la Guerra Civile Americana la logistica non era in grado di fornire cibo fresco o agrumi o succhi e si ebbero 30714 casi di scorbuto (con 383 morti) fra i soldati bianchi e 16127 casi (con 388 morti) tra quelli di colore. Nel tristemente noto campo di prigionia di Andersonville, Georgia, si ebbero 46974 casi di malattie tra i prigionieri Nordisti, fra le quali furono diagnosticati 9501 casi di scorbuto (266 morti).

Nel 1820 un reparto statunitense di 1016 uomini ne aveva 895 ammalati, comprensivi di 503 casi di scorbuto, 168 dei quali morirono.

Neppure la corsa all’oro californiana fu esente da questo flagello.

Nel XIX secolo le epidemie di scorbuto afflissero diverse nazioni; una delle prime fu registrata nel 1825 nella prigione britannica di Millbank dove fu osservato che a sviluppare la malattia erano i prigionieri privati di patate e cipolle dal rancio.

Le grandi carestie che colpirono l’Europa tra il 1845 e il 1888 portarono ad un significativo incremento dello scorbuto fra i cittadini inglesi e irlandesi. La dieta degli Irlandesi nel XIX secolo era basata su patate e latticini; si stima che un terzo della popolazione, quello più povero, facesse affidamento esclusivamente sulle più economiche patate. La grande carestia del 1845-1852 provocò quindi un milione di morti e altrettanti furono costretti ad emigrare, privando quindi l’Irlanda di un quarto della sua popolazione dell’epoca.

evidenti lesioni alla mandibola in bambino irlandese di 6 anni

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La popolazione giovanile e i bambini non furono certo esenti dalla malattia; epidemie di scorbuto si registrano negli orfanotrofi francesi tra il 1590 e il 1640.

Il pediatra inglese Walter Cheadle in due articoli in The Lancet (1878 e 1882) identificò correttamente nell’assenza di latte nell’alimentazione la causa dello scorbuto nei bambini molto piccoli, proponendo latte fresco e purè per la rapida cura della malattia, mentre un altro medico inglese, sir Thomas Barlow, pubblicò il primo trattato sullo studio dello scorbuto in pediatria (On cases describe as “acute rickets” which are probably a combination of scurvy and rickets, the scurvy being an essential, and the rickets a variable element. Med Chir Trans, London 1883; 66: 159-220) tanto che lo scorbuto nell’infanzia fu poi a lungo noto come “malattia di Barlow”.

E’ interessante notare che moltissimi medici del passato hanno scritto copiosamente sullo scorbuto, ma nonostante fosse malattia diffusissima sulla terraferma le indicazioni utili provengono quasi esclusivamente dai medici con esperienza marinara, anche perché lo scorbuto di terra e quello di mare (chiamato in inglese anche sea beri-beri, a testimonianza della confusione) non erano riconosciuti come una stessa malattia: occorre arrivare al 1734 perché l’olandese Johann Bachstrom affermasse trattarsi di un’identica patologia. Inoltre, molta confusione era ingenerata dal fatto che il termine “scorbuto” era usato dai medici dell’epoca per indicare ogni cosa che essi non riuscivano a identificare e curare.

L’era moderna.

Axel Holst (1860-1931) era un docente di igiene e batteriologia all’università di Oslo; interessato a comprendere meglio le basi dello scorbuto e supponendo potesse trattarsi di un difetto nutrizionale, con la collaborazione del pediatra Theodor Frolich (1870-1947), interessato allo scorbuto nei bambini, decise di allestire un modello animale per una ricerca sistematica del fattore che causava la malattia.

A. Holst e T. Frolich

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Holst aveva iniziato studiando i piccioni, ma considerò che i piccoli mammiferi fossero un modello migliore; scartati i ratti, che il popolo generalmente associava con la morte e i topi, parassiti all’interno delle abitazioni, fu preferito il porcellino d’india, noto come animale domestico.

Oggi sappiamo che se avesse scelto altri animali avrebbe quasi sicuramente fallito nel suo intento, ma il porcellino d’india, al pari dell'uomo, di alcune scimmie e qualche uccello, non è in grado di sintetizzare la vitamina C.

Ecco allora che quando i porcellini erano nutriti con cereali e farinacei, crudi o cotti, mostravano i sintomi dello scorbuto, sintomi che potevano essere prevenuti se a tale dieta erano aggiunti cavoli crudi e succo di limone.

Holst e Frolich pubblicarono i loro risultati nel 1907, ma le loro conclusioni vennero accolte con scetticismo dall'ambiente scientifico, perchè il concetto di deficit nutrizionale era assolutamente nuovo per l'epoca.

Solo nel 1912 Casimir Funk pubblica un articolo in cui si attribuisce definitivamente un deficit nutrizionale a malattie come lo scorbuto (deficit di vitamina C), il beri beri (deficit di vit. B1), la pellagra (deficit di vit. PP) e il rachitismo (vit. D); in tale articolo conia per la prima volta il termine vital amines (amine vitali), che diventerà nell'uso "vitamine", per identificare i fattori nutrizionali carenti.

Nel 1917 le biologhe inglesi Hariette Chick e Margaret Hume dimostrarono che il valore anti-scorbutico del latte del porcellino d’india era direttamente correlato alla sua quantità: tanto più ne assumeva il cucciolo, tanto minore era il rischio di presentare i sintomi dello scorbuto. Nel 1918 sempre la Chick, insieme a Ruth Skelton, dimostrò che lo scorbuto poteva manifestarsi anche se si dava ai porcellini succo di lime conservato (per la perdita dell’attività durante la conservazione o la preparazione, particolarmente ad opera delle tubazioni in rame), che il succo di lime fresco aveva solo un quarto della potenza del succo di limone fresco e che gli animali che ammalavano di scorbuto con il succo di lime erano curati dal succo di limone fresco.

Fu un team americano guidato dal biochimico Charles Glen King ad isolare l’acido ascorbico (1932) e l’inglese Reginald Herbert a pubblicarne la struttura (1933); immediatamente dopo fu possibile sintetizzare la vitamina C in laboratorio, mentre i grandi studi multicentrici sull'associazione fra scorbuto e acido ascorbico dovranno però aspettare gli anni 1930-50.

Nel 1976 il premio Nobel Linus Pauling pubblicherà il suo libro "Vitamin C, the common cold and the flu" (vitamina C, il comune raffreddore e l'influenza) nel quale consiglia l'assunzione di un grammo di vitamina C al giorno per prevenire il comune raffreddore e suggerisce che la vitamina protegga dalle malattie cardiovascolari, infarto, tumori e infezioni.

L. Pauling

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La piena comprensione delle proprietà anti-ossidanti della vitamina C, unitamente alla sua mancanza di tossicità, rivoluzionò l’industria alimentare che prese ad usarla come conservante.

Il difetto biochimico alla base dell’incapacità di sintetizzare l’indispensabile vitamina C fu identificato nell’assenza dell’enzima L-gulonolattone-ossidasi (GLO), riconosciuta prima nell’uomo (1955) e l’anno successivo nel porcellino d’india.

Risale invece a circa 20 anni fa (1991 e 1992) l’osservazione che il gene che codifica l’enzima GLO è presente nell'uomo e nella cavia, ma non più funzionale a causa di numerosi successivi eventi mutazionali che ne hanno profondamente modificato la sequenza trasformandolo in uno pseudogene.

Modificato da paolo
aggiornamento

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Quando storia e scienza si intrecciano io resto affascinato; le poche righe che avevo letto a proposito dell’epoca della scoperta dell’impossibilità di sintetizzare la vitamina C da parte del porcellino d’india () mi hanno spinto ad approfondire l’argomento e a realizzare la scheda precedente.

La malattia ha afflitto da sempre l’umanità, particolarmente laddove frutta e verdura fresca non erano facilmente reperibili.

Oggi se ne osservano casi in presenza di diete estreme, negli anziani trascurati, alcolisti, bambini con dieta povera; anche soggetti schizofrenici, depressi o anoressici possono avere un insufficiente apporto di vitamina C.

Se la malattia è ormai rara fra gli umani, non altrettanto si può dire per i porcellini d’india, che spesso per ignoranza vengono alimentati con cibo assolutamente inadatto e privo dell’indispensabile vitamina.

Una dieta corretta ed equilibrata è quindi il primo caposaldo della cura dei nostri porcellini.

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Avreste mai immaginato che l'incapacità di sintetizzare la vitamina C può aver favorito la comparsa ed evoluzione dell'uomo, grazie anche ai radicali liberi e ai retrovirus?

Ne parleremo prossimamente.

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Come sappiamo, la storia dello scorbuto (la carenza di vitamina C) è vecchia quanto l'uomo, mentre quella della sua cura è molto recente.

In appendice alla scheda precedente ho trovato una tipica descrizione dello scorbuto dal diario di un cappellano imbarcato su una nave spagnola durante l'esplorazione della costa californiana nel 1602.

"Un vento freddo e tagliente sta soffiando e porta con sè la pestilenza, specialmente nelle persone affaticate e sfinite dalla durezza della navigazione. Il primo sintomo è il dolore in tutto il corpo, che rende sensibili al tocco più lieve; chiazze color porpora cominciano a coprire il corpo, specie dalla vita in giù; poi le gengive gonfiano e i denti cadono così che questi infelici possono soltanto bere e alla fine muoiono all'improvviso, mentre stanno parlando. Fortunatamente, molti muoiono dopo essersi confessati e aver ricevuto l'estrema unzione. Nessuna delle consuete medicine può dare sollievo in questa malattia.

Ma talvolta, mentre taluni di questi ammalati ancora sopravvivono, si verifica un apparente miracolo e la Vergine Maria, alla quale essi hanno rivolto le preghiere, porta loro soccorso. Mentre alcuni dei soldati erano a terra a seppellire i deceduti, uno di loro portò in bocca, non senza qualche difficoltà, quello che i nativi chiamano "jocoistle" o "mancaniilla" (nota: "manzanilla", una piccola mela selvatica prodotta da una pianta delle euforbiacee) il frutto di un cactus che i locali mangiano, e egli sentì che aveva un buon sapore e che portava giovamento alla sua malattia, così che ne mangiò ancora e tutti presero a mangiarne e a portarne a bordo così che, dopo due settimane, tutti furono risanati."

Si può notare che ancora 400 anni fa lo scorbuto era considerato un flagello inevitabile e incontrollabile, un po' come la peste e le malattie infettive, contro il quale l'uomo non aveva difese se non la preghiera all'Altissimo o a Maria.

L'effetto benefico della frutta e verdura fresche era talvolta noto, ma si reputava che i vegetali fossero solamente un mezzo attraverso il quale si esercitava la pietà divina, senza riconoscerne il valore nutrizionale.

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Ho trovato un nuovo articolo sulla storia della vitamina C e dello scorbuto.

Sto apportando alcuni aggiornamenti alla scheda, ma ho incontrato nuove informazioni e resoconti, come quello appena pubblicato, che preferisco riportare come post separati.

Eccone un'altra.

Quando si parla della storia naturale dello scorbuto una figura fondamentale è quella di James Lind, uno scozzese ufficiale medico imbarcato, che nel 1746, all'età di 30 anni, effettuò la prima sperimentazione scientifica sull'equipaggio di una nave di Sua Maestà con l'obbiettivo di arrivare a debellare lo scorbuto che affliggeva gli equipaggi impegnati nelle lunghe navigazioni.

A quel tempo si credeva che le sostanze acide formassero dei sali con i prodotti del catabolismo organico, favorendone l'eliminazione.

Per questo, durante la sua famosa sperimentazione, l'equipaggio di bordo venne diviso in diversi gruppi ai quali vennero somministrati: sidro di mele; acido solforico diluito in acqua; aceto; acqua di mare; una mistura di aglio, mostarda e resina; e infine, ai più fortunati, arance e limoni.

Sappiamo che quest'ultimo gruppo riuscì a prevenire lo scorbuto e per questo Lind propose alle autorità di fornire una scorta di succo di limone ad ogni nave.

E' curioso notare l'osservazione del medico sul gruppo che aveva ricevuto l'acido solforico: "Dopo due settimane di trattamento quelli che avevano ricevuto acido solforico avevano la bocca più pulita della maggior parte degli altri marinai, ma non ho percepito buoni effetti dal suo uso sugli altri sintomi" (!!!)

Nonostante l'intuizione, la validità della suddivisione per gruppi e il suggerimento finale sul beneficio del succo di agrumi, Lind era ben lontano dall'immaginare l'esistenza della vitamina C e aveva una sua sorprendente teoria sui risultati della sperimentazione, ovvero: che il cilma freddo e umido (ma anche uno stato psicologico infelice) determinasse l'intasamento dei pori della pelle.

Occorre premettere che ai tempi si pensava che, sebbene minerali e sali acidi venissero escreti con le urine, "i più insidiosi e putrescenti tra gli umori animali potrebbero non passare attraverso un'altra via (per esempio: attraverso la pelle) così che la loro ritenzione potrebbe produrre una malattia cronica di carattere scorbutico". Egli spiegava quindi le virtù del succo di agrumi per il suo carattere "saponaceo e scomponente" (nota: capacità di formare un'emulsione) così che che le particelle residue più fini potevano passare anche attraverso pori della pelle parzialmente bloccati. Egli concludeva che "la principale e maggior causa predisponente dello scorbuto è la manifesta e ovvia qualità dell'aria, in particolare il suo grado di umidità. Infatti lo scorbuto è sconosciuto nei luoghi aridi".

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Alla fine del Settecento era ormai accettato che imbarcare succo di agrumi e vegetali freschi era una pratica di grande valore nella prevenzione dello scorbuto.

Nel 1795 l'ammiragliato britannico aveva quindi deciso di fornire giornalmente a ogni marinaio in navigazione tre quarti di oncia (circa 20 grammi) di succo di limone.

A causa della deperibilità del prodotto era però necessaria un'accurata organizzazione per rifornire la flotta; basti pensare che nei primi venti anni vennero forniti 1,6 milioni di galloni di succo (circa 5 milioni di litri).

La flotta di Nelson nel Mediterraneo, impegnata nella guerra contro la flotta napoleonica, grazie all'accurata organizzazione potè contare su un rifornimento costante di limoni provenienti dai frutteti siciliani e quindi, in un momento così cruciale, rimanere in mare in ragionevoli condizioni di salute per tempi in precedenza inimmaginabili, mentre la flotta francese non aveva analoghe risorse.

In una moderna rivista francese di storia della medicina, un saggio su quel periodo storico si conclude così: "Fummo sconfitti da un limone!".

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