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paolo

Il pomeriggio della domenica.

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Vivo da solo, con Camilla s’intende, e in certi momenti mi annoio un po’.

Soprattutto la domenica pomeriggio.

Qualche domenica fa tornavo dalla piscina dove ero andato a nuotare un po’ e mentre stendevo l’accappatoio umido sul terrazzo ho visto un piccione volare verso di me; un vecchio piccione piuttosto massiccio e con una penna che sporgeva un po’ da un’ala, forse il ricordo di una contesa con un giovane rivale o con qualche gatto randagio del quartiere.

Se non fosse stato per quella penna un po’ storta credo non lo avrei neppure notato.

L’ho rivisto la domenica pomeriggio successiva e poi quella dopo ancora, sembrava proprio guardare me.

Allora ho tirato fuori una vecchia sdraio, mi sono seduto comodamente, ho steso le gambe, e ho rivolto il viso verso il sole deciso a godermi il tepore primaverile.

Lui, lo chiamerò così, come una persona, si è avvicinato anche se non troppo e si è accoccolato sul parapetto a qualche passo di distanza.

Sono stato una mezz'oretta a godermi il sole sul viso, poi l’ho salutato cortesemente, come si deve a una piccione già di una certa età, e sono rientrato.

E’ diventato un rito della domenica pomeriggio. Quando ritornavo dall’allenamento lui era lì ad aspettare; mi sono reso conto che non lo vedevo negli altri giorni.

Ho preso l’abitudine di chiacchierare con lui: gli raccontavo che avevo impiegato un minuto in meno per fare il solito numero di vasche, che il giorno dopo sarei dovuto andare con Camilla dal veterinario, di certe giornate senza stimoli e con troppo tempo da trascorrere, dei posti che mi sarebbe piaciuto andare a visitare e nei quali non ero ancora stato.

Anche lui raccontava qualcosa, un tubare veloce, che certe volte si alzava di tono raggiungendo note epiche quando, immagino, mi raccontava delle sue imprese giovanili e di quanti posti avesse visto dall’alto.

Avevo anche preso l’abitudine di portare con me un pochino di pane e dargli qualche briciola; le accettava, ma senza ingordigia, con sobrietà, come se le considerasse semplicemente una cortesia tra amici.

Chiacchieravamo al sole e dalle case intorno proveniva il sottofondo delle radio che trasmettevano la partita di calcio, le risate dei giochi dei bambini, talvolta qualche litigio familiare.

Abbiamo trascorso così tutta la primavera.

Poi un pomeriggio è arrivato a posarsi sul solito posto sul parapetto.

Ho preso a raccontare qualcosa, poi anche lui ha detto qualcosa, tubando con un tono grave che non gli avevo mai sentito prima.

Ho capito che mi stava salutando.

Quando sono rientrato ho visto che mi fissava e sembrava quasi sorridere.

Non l’ho più rivisto.

Immagino che dovesse volare verso altri cieli o forse aveva sentito il richiamo di un Cielo ancora più alto.

Non ho mai pensato a dargli un nome e non ho idea di come potesse chiamarsi tra i suoi simili. Ma è stato il mio compagno di tanti pomeriggi assolati e gli sono grato per questo.

Ciao piccolo amico pennuto, sono certo che un giorno ci incontreremo nuovamente, magari su bel prato fiorito e profumato, e riprenderemo a raccontarci i nostri pensieri.

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Come sempre mi accade questi racconti nascono all’improvviso, da un’immagine o da qualcosa che ho ascoltato; provo l’urgenza di scriverli. Nascono quasi completi e solo da rifinire; per scrivere questo non credo di aver impiegato più di 20 minuti.

Nel racconto ci sono delle cose vere, come il piccione, e delle cose di fantasia.

E’ una piccolissima cosa, ma spero che l’abbiate gradita.

L’immagine che correda il racconto è di Giorgio De Chirico. "Maliconia e mistero di una strada". Per me rappresenta alla perfezione l'atmosfera malinconica di certi pomeriggi assolati e solitari.

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