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paolo

Alle più lontane origini della cavia. 2. Isole galleggianti.

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Ecco la seconda puntata della trilogia sulle origini della cavia (che probabilmente diventerà una tetralogia).

La prima () voleva farci conoscere i lontanissimi progenitori che vivevano nel continente africano; questa seconda entra nel dettaglio di come questi antenati abbiano potuto raggiungere l'America Meridionale, dove pare si siano trovati così bene e diversificati fino a diventare quei piccoli roditori che così ben conosciamo e apprezziamo.

Un grazie a LaBere! Perché, chiedete? Aspettate di arrivare in fondo a questa scheda!

Alle più lontane origini della cavia. 2. Isole galleggianti.

Da sempre, uno dei punti più controversi è come gli antenati della cavia siano giunti nell'America Meridionale.

Occorre ricordare che l'attuale America Meridionale al tempo era era un'isola; l'istmo di Panama arriverà ad unire le due Americhe solo 3 milioni di anni fa, quindi molto tempo dopo il presunto arrivo dei progenitori dei porcellini d'india.

La Terra 50 milioni di anni fa

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La storia naturale dell'istmo di Panama

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Il Cenozoico, l'arco di tempo in cui si svolge la nostra storia

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Per diversi validi motivi sono state scartate le ipotesi di un viaggio attraverso l'Antartico o attraverso l'America Settentrionale; attualmente l'ipotesi più accreditata è quella di una migrazione transoceanica a partire dalle coste del Nord Africa.

Il modello comunemente accettato per spiegare la dispersione di animali terrestri sopra un'ampia distesa d'acqua è quello delle isole galleggianti (floating island model o rafting).

Naturalmente ci si pongono molti interrogativi su come questo viaggio abbia potuto realizzarsi e andare a buon fine, tra i quali: le probabilità che un'isola galleggiante si sviluppi e si stacchi dalla terraferma; che al momento del distacco sull'isola sia presente un gruppo vitale di animali che non siano in grado abbandonare l'isola in movimento; che le locali paleocorrenti e paleoventi trasportino l'isola nell'oceano fino a raggiungere l'America del Sud; che l'isola galleggiante e gli animali su di essa sopravvivano alle tempeste oceaniche; che gli animali non patiscano la disidratazione e che la vegetazione sull'isola non inaridisca e fornisca cibo sufficiente per la sopravvivenza; che gli animali siano in grado di sopportare gli stress del caldo e del vento; che gli animali siano vivi all'arrivo e presentino comportamento normale, desiderio di riprodursi e adattabilità al nuovo ambiente (incluse diversa stagionalità, cibo non familiare, nuovi predatori, malattie trasmissibili prima sconosciute, nuovi parassiti ecc...).

Le isole galleggianti sono composte solitamente da materiale organico e sedimenti minerali tenuti insieme da un reticolato di rizomi, radici e steli, autentica biomassa vivente che favorisce la crescita di diversi tipi di piante su di esse.

Aree dove si producono isole flottanti sono rare, ma laddove esistono possono produrre numerose di tali isole. Sono maggiormente comuni nelle zone umide tropicali quali i laghi Malawi, Naivasha, Lualaba e il bacino Upemba in Africa e laghi in diverse regioni dell'India (Uttar Pradesh, Kashmir, Manipur, Kerala).

due viste del lago Loktak, Manipur, India

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e il lago Damdama, vicino a Dehli

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Ma anche altre zone mostrano condizioni adatte a causa della ricchezza dei sedimenti e delle caratteristiche idrologiche, come il basso corso e il delta del Danubio, l'alto corso del Nilo, il delta del Mississipi, il lago Orange e le Everglades, Florida, USA.

nelle Everglades

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Anche nell'America Meridionale si sono osservate isole galleggianti nelle zone umide vicino a Corrientes e nei Rio Paranà e Rio de la Plata in Argentina.

Esteros del Ibera, Corrientes, Argentina

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Il lago Malawi (o Niassa) è il terzo lago più grande dell'Africa e il nono al mondo. L'azione del vento e delle onde modifica continuamente la geografia della linea costiera; la vegetazione paludosa può in parte staccarsi dalla terraferma a formare isole galleggianti nel lago, più numerose nella stagione delle piogge (gennaio-marzo), che possono costituire un pericolo per la navigazione.

isola galleggiante di papiro sul lago Malawi

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illustrazione di A. Goering, 1883, “Isola galleggiante nel fiume Congo

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Le isole galleggianti sono state spesso menzionate, ma raramente descritte. Forse i più antichi riferimenti a queste particolari formazioni risalgono a Seneca e a Plinio il Vecchio che sono particolarmente colpiti da quelle viste nel lago Vadimonis (oggi Vadimonio, una sessantina di chilometri a nord di Roma, presso le rive del Tevere) e che saranno poi descritte con dovizia di particolari da Plinio il Giovane (I secolo d.C.): “Nessuna imbarcazione può entrare nel lago perché le sue acque sono sacre, ma vi navigano numerose isole galleggianti coperte di canne, giunchi e di qualsiasi altra pianta prodotta dal fertile terreno della palude e delle rive del lago. Ogni isola ha una propria forma e dimensione, ma tutte hanno i bordi consumati a causa delle frequenti collisioni fra loro e con la riva. Tutte sono ugualmente alte e leggere e il loro fondo pesca assai poco […] Talvolta sono tra loro congiunte e accoppiate e sembrano terraferma; talvolta sono danneggiate dalla furia dei venti; talora, quando l'acqua è tranquilla, galleggiano una per una. Spesso le più piccole si uniscono alle più grandi e talvolta le più grandi e le più piccole fanno tra loro una specie di corsa e di lotta...” (Epistularum Libri Decem, Liber VIII, 20).

lago di Posta Fibreno, Roma

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Dobbiamo attendere il XVII secolo per trovare il primo studio sulla natura, formazione e galleggiabilità di queste isole ad opera del francese Claude Dausque, che avendo familiarità con le isole galleggianti nei pressi di St. Omer scrisse un poco noto, ma accurato trattato pubblicato nel 1633 (Terra et aqua seu, terrae flutuantes).

In Italia fu il gesuita Athanasius Kircher a studiare le isole galleggianti nel Lago della Regina, presso Tivoli e a pubblicare il risultato dei suoi studi in Mundus subterraneus (1665).

Lago Blanchemer, Francia

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Un'isola di grandi dimensioni fu osservata nel 1881 in Canada, alla deriva su un fiume nella provincia del Quebec; misurava 60 x 23 metri, con alberi alti fino a 15 metri e successivamente si frammentò in isolette più piccole.

Nel 1902 una nave norvegese in rotta da Cuba verso gli Stati Uniti incontrò nel Mar dei Caraibi una grande isola galleggiante che si muoveva a bassa velocità e su di essa un gran numero di imponenti alberi di palma carichi di noci di cocco; “Mai visto niente di simile nella mia carriera di navigante”, scrisse il capitano. Fece calare una scialuppa per approdare sull'isola dove lo attendeva un'altra sorpresa: in cima agli alberi c'erano diverse scimmie che presero a bersagliare i marinai con le noci di cocco.

Ma il resoconto del capitano non finisce qui: il giorno successivo risuonò il grido della vedetta “Terra in vista” in un luogo dove le mappe riportavano solo oceano. Avvicinandosi trovarono un esatto duplicato dell'isola galleggiante del giorno precedente, con la differenza che invece delle scimmie questa ospitava un nutrito stormo di pappagalli dal bellissimo piumaggio. Quello che sembrava essere il patriarca della tribù li apostrofò con imprecazioni in lingue diverse, dal che si dedusse fosse un animale da compagnia perdutosi.

una grande isola flottante

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Una volta stabilito che le isole galleggianti possono svilupparsi era necessario che queste potessero godere di paleocorrenti oceaniche e paleoventi favorevoli (o che i venti fossero così potenti da compensare correnti non favorevoli) e che il viaggio potesse essere completato entro un numero di giorni ragionevole, compatibile con i limiti di sopravvivenza degli organismi migranti.

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Sono state identificate due regioni nell'Oceano Atlantico Meridionale in cui le correnti e i venti fluivano costantemente e simultaneamente verso ovest, all'interno delle quali un oggetto galleggiante avrebbe avuto le massime probabilità di attraversare l'oceano.

Una (tra 5° Nord e 10° Sud) originava vicino al fiume Congo, nella Repubblica Democratica del Congo, con correnti che fluiscono verso gli stati brasiliani di Paraiba, Amapà e Maranhão; l'altra (fra 10° Nord e 30° Nord) era situata appena a nord del fiume Senegal, in Senegal; le correnti fluiscono verso il Brasile Settentrionale e il Venezuela.

Ancora oggi un gran numero di correnti fluiscono in direzione est-ovest, dall'Africa Occidentale al Sud America

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Resta ora da capire se tale viaggio ecceda i limiti di sopravvivenza degli animali presenti sopra questi natanti di fortuna.

Importanti indizi sono arrivati dalle scimmie platirrine, le cosiddette “scimmie del Nuovo Mondo”, i progenitori delle quali avrebbero intrapreso lo stesso viaggio in tempi successivi (circa 26 milioni di anni fa, mentre gli antenati delle cavie sarebbero giunte nell'America Meridionale 45 milioni di anni fa).

I ricercatori che hanno indagato la migrazione transatlantica di queste scimmie hanno realizzato dei modelli particolarmente completi che ci hanno aiutato a comprendere come questo viaggio possa essersi compiuto.

nell'Alberta, Canada

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un cenote, lago d'acqua dolce in una grotta, Tamaulipas, Mexico

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Tra i fattori presi in considerazione oltre alla velocità e direzione di venti e correnti: l'effetto positivo del vento sulle chiome degli alberi e sugli altri materiali organici e inorganici, le dimensioni e la massa dell'isola, il grado di galleggiabilità dell'intera massa flottante, la resistenza al moto esercitata dalla parte sommersa dell'isola e altro.

Il vento, e non la corrente, è la più potente forza sull'oceano ed è probabilmente il fattore critico per la velocità di un'isola galleggiante, l'80% della quale è esposto alla forza del vento; si è però calcolato che almeno tre quarti dell'effetto favorevole dei paleoventi si sia perso per una circolazione non sempre ottimale e per la resistenza esercitata dalla base immersa dell'isola.

l'isola galleggiante Cranberry nel lago Buckeye, Ohio, USA

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Nel calcolo dei tempi necessari all'attraversamento si deve considerare che il livello delle acque marine al tempo in cui si svolge la nostra storia era particolarmente basso, pertanto la distanza tra Africa e America Meridionale all'epoca era decisamente inferiore all'attuale.

La simulazione è stata condotta per ere diverse: Paleocene (circa 50 milioni di anni fa), Eocene (circa 40 milioni) e Oligocene (circa 30 milioni d'anni). Sono stati valutati differenti scenari: uno più conservativo in cui venti e correnti fluivano alla minima velocità, uno condotto nel mese in cui venti e correnti erano più favorevoli e altri intermedi.

I modelli rivelano che 50 milioni d'anni fa l'oceano Atlantico Meridionale poteva essere attraversato impiegando un massimo di 8 giorni e un minimo di 5 giorni; 40 milioni di anni fa il viaggio poteva essere compiuto tra 11 e 7 giorni; infine, 30 milioni di anni fa la navigazione poteva durare tra 15 e 10 giorni a seconda dello scenario considerato.

Sappiamo che i caviomorfi colonizzarono l'America del Sud tra 50 e 45 milioni di anni fa, quindi riferendosi agli scenari appena descritti la migrazione transoceanica non sarebbe stata un'impresa così improbabile, anche considerando le minori dimensioni e conseguentemente le minori necessità alimentari rispetto ai primati.

Il viaggio transatlantico, liberamente interpretato dalla nostra LaBere

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Grazie molte!

Il lavoro di documentazione non è stato facile, così come la ricerca di immagini adatte, ma sono comunque riuscito a illustrare l'articolo con diverso materiale che può darci un'idea di cosa siano queste "isole galleggianti", così estranee alla mia conoscenza, ma così importanti nella storia della cavia.

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Quando sono andata in . Africa ho visto molte procavie delle rocce ( c'era una colonia proprio dentro a un hotel, avevano ricreato un ambiente e si erano adattate a vivere li, tra turisti e guardie...sono animali rispettati.Una cosa di cui mi ricordo è che l'antenato più prossimo a questo animaletto è l'elefante, hanno delle ossa in comune...Pazzesca la natura!Ti risulta Paolo?

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Quando sono andata in . Africa ho visto molte procavie delle rocce ( c'era una colonia proprio dentro a un hotel, avevano ricreato un ambiente e si erano adattate a vivere li, tra turisti e guardie...sono animali rispettati.Una cosa di cui mi ricordo è che l'antenato più prossimo a questo animaletto è l'elefante, hanno delle ossa in comune...Pazzesca la natura!Ti risulta Paolo?

Certamente, appartengono entrambi al superordine Afrotheria, che tra l'altro comprende anche dugonghi e lamantini, mammiferi acquatici.

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Un'integrazione a questo topic.

Abbiamo detto che al tempo della nostra storia l'Oceano Atlantico era meno profondo rispetto ad oggi, o meglio, le sponde africana e americana erano più vicine tra loro.

Ho potuto leggere un articolo nel quale si discute la paleogeografia dell'Atlantico Meridionale, proprio in funzione della traversata degli antenati delle cavie prima e delle scimmie platirrine più tardi.

I ricercatori hanno creato dei modelli secondo i quali la distanza tra Africa e America del Sud era di 1000 km 50 milioni di anni fa, 1500 km 40 milioni di anni fa e di 2000 km 30 milioni di anni fa.

L'immagine presenta i modelli ricreati: sono visibili parzialmente i due continenti (America Meridionale a sinistra e Africa a destra) separati dall'Oceano Atlantico in diversi momenti (20, 30, 40 e 50 milioni di anni fa) e come potete constatare a 50 milioni di anni la distanza era minima.

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Ovviamente le condizioni per l'attraversamento erano migliori fra 50 e 40 milioni di anni; i ricercatori erano perplessi perché i più antichi resti di caviomorfi nel continente americano risalivano a poco più di 30 milioni di anni fa; in qualche modo le cavie avrebbero mancato il momento migliore.

Ma... ma... c'è un ma: lo studio in questione è stato pubblicato nel 2008 e solo nel 2012 sono stati scoperti fossili di caviomorfi americani risalenti a 41 milioni di anni, cosa che sottintende un arrivo nel continente intorno ai 45 milioni di anni.

Mica sceme le cavie!

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Mi ero persa l'aggiornamento della scheda. Che dire lavoro eccellente. Molto interessante. Che dire della cavia pirata...mi ha fatto proprio ridere. Potrebbe essere una nuova stampa per le magliette di AAE.

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