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paolo

Gli erbivori e la digestione della cellulosa.

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La cellulosa è un polisaccaride costituito da un gran numero di molecole di glucosio (da 300 a 10.000) disposte in una catena lineare e unite tra loro mediante un legame ß(1-4) glicosidico. Più catene di cellulosa si dispongono parallelamente tra loro, unite da legami a idrogeno, a formare delle fibre molto lunghe e consistenti.

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Questa particolare struttura macromolecolare è il principale costituente della resistente parete che racchiude le cellule vegetali e rappresenta la base della struttura della pianta (radici, fusti e foglie).

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(spaccato di cellula vegetale; in verde la solida parete cellulare composta principalmente da cellulosa)

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(tessuto vegetale al microscopio; ben evidente la parete cellulare che circonda le singole cellule)

La cellulosa è il principale composto organico nella dieta degli erbivori (un po' come i nostri farinacei, pane e pasta in primis), ma per essere assimilata quale alimento deve essere idrolizzata (digerita) dalle cellulasi, enzimi assenti nei vertebrati, ma prodotto da diversi microrganismi.

I mammiferi erbivori (ruminanti, cavalli, conigli ecc.) hanno quindi risolto il problema ospitando nello stomaco o nell’intestino dei batteri che digeriscono la cellulosa.

Nei ruminanti i vegetali grossolanamente masticati scendono nel rumine, dove i batteri simbionti demoliscono la cellulosa negli zuccheri semplici di cui è composta.

Invece nei mammiferi non ruminanti (come la cavia) i batteri che digeriscono la cellulosa sono contenuti in alcuni tratti dell’intestino, precisamente nel colon e nel cieco. Quindi la cellulosa, giunta pressoché inalterata all'intestino tenue, viene parzialmente fermentata dalla flora microbica locale per recuperare le molecole di glucosio che la compongono e con liberazione di acidi grassi che favoriscono la crescita della microflora simbionte, creando al contempo un ambiente ostile per i microrganismi patogeni.

Oggi la normale flora batterica simbionte (microbiota) presente nella mucosa intestinale è considerata a tutti gli effetti un organo che svolge funzioni fisiologiche che altrimenti non saremmo in grado di espletare (per approfondimenti sul microbiota cavioso e umano vedi anche: ).

L'organismo umano non riesce a digerire la cellulosa, in quanto privo degi enzimi capaci di scinderla in sostanze più semplici ed assimilabili; di conseguenza la cellulosa viene espulsa con le feci, alle quali conferisce volume e consistenza; per queste sue caratteristiche, è considerata una fibra alimentare insolubile.

Il carboidrato vegetale utilizzabile dall'uomo è l'amido, che i vegetali sintetizzano per via enzimatica a partire dal glucosio (a sua volta ottenuto mediante la sintesi clorofilliana).

Amido e cellulosa, pur condividendo l'origine vegetale ed essendo entrambi costituiti da glucosio, sono polisaccaridi piuttosto differenti, sia in termini strutturali che funzionali: mentre la cellulosa, insieme all'emicellulosa e alla lignina, forma il legno ed ha quindi una funzione di protezione e sostegno, l'amido è la riserva energetica della pianta.

Dal punto di vista chimico, però, la differenza tra le due molecole è molto sottile e riconducibile alla maniera in cui le varie unità di glucosio sono unite tra loro: la cellulosa essendo formata da una catena lineare di monomeri di β-glucosio legati tra loro attraverso legami β(1-4); l'amido da molecole di α-glucosio (da un centinaio a qualche migliaia) unite da legami α-glicosidici a formare una catena ramificata.

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I legami dell'amido possono essere scissi dagli enzimi digestivi contenuti nel nostro organismo e quindi le molecole di glucosio contenute in tale zucchero risultano utilizzabili, mentre non possediamo gli enzimi in grado di rompere i legami della cellulosa, enzimi presenti invece negli erbivori.

Ma come si acquisisce la capacità di cibarsi di vegetali e digerire efficientemente la cellulosa?

Lo sviluppo di caratteristiche anatomiche e fisiologiche che consentano di nutrirsi di vegetali ha rappresentato un passo importante nella diversificazione dei tetrapodi terrestri, con rilevanti conseguenze sull'ecosistema.

Nutrirsi di tessuti vegetali richiede una quantità di cambiamenti anatomici e fisiologici atti a facilitarne la digestione, in particolare modificazioni strutturali della dentizione, dell'apparato mandibolare e del tratto digestivo, insieme all'acquisizione di endosimbionti microbici in grado di produrre gli enzimi necessari per la fermentazione della cellulosa, il principale componente della parete cellulare delle piante.

Le evidenze di una dieta erbivora nei vertebrati estinti sono tipicamente circostanziali e provengono dall'esame della struttura dei loro denti e dell'apparato mandibolare, mentre i contenuto fossile in vegetali dell'intestino fornisce un'evidenza ancora più diretta.

L'apparato digerente degli erbivori tetrapodi è più lungo e voluminoso rispetto a quello dei carnivori e insettivori, perchè una consistente porzione dell'intestino è modificata per ospitare una quantità di endosimbionti per la demolizione della cellulosa

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(l'intestino del porcellino d'india)

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(differenze tra l'intestino di un piccolo carnivoro e quello di un erbivoro non ruminante)

Per questo motivo negli erbivori del Paleozoico riscontriamo una gabbia toracica più ampia e capace di quella dei carnivori coevi.

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(ricostruzione scheletrica di due erbivori del Permiano; ben evidente l'ampia zona toracica destinata ad ospitare il voluminoso intestino)

Le prime evidenze di un'alimentazione con materiale vegetale ad alto contenuto di fibra nei tetrapodi risalgono al tardo Carbonifero (circa 300 milioni di anni fa), sebbene sia probabile che il consumo di tessuti vegetali risalga a un periodo ancora antecedente. I desmatodonti del Nord America furono apparentemente i primi vertebrati terrestri capaci di nutrirsi di materiale vegetale altamente fibroso e alla fine del Permiano (250 milioni di anni fa) gli erbivori sono ormai ben rappresentati.

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(ricostruzione di un edafosauro, erbivoro vissuto circa 280 milioni di anni fa)

Vista l'entità dei cambiamenti necessari richiesti per un efficiente processo digestivo del materiale vegetale, è probabile che l'erbivoria nei tetrapodi si sia sviluppata solo dopo un lungo periodo di transizione di onnivoria che includeva il consumo di parti di piante.

Comunque le modificazioni scheletriche verso l'alimentazione erbivora sono relativamente inefficaci in assenza di microrganismi endosimbionti per la lisi della cellulosa. Il modo di acquisizione di questi simbionti da parte dei vertebrati ospiti è incerto ed è improbabile che i reperti fossili ci aiutino a risolvere la questione.

E' stato ipotizzato che questi microrganismi siano stati inizialmente raccolti da animali detritivori che si nutrivano di rifiuti vegetali; quelli sopravvissuti nell'intestino dei tetrapodi hanno assunto gradualmente un ruolo nei processi digestivi dell'ospite.

E' stato accertato che i possibili progenitori dei vertebrati tetrapodi erbivori del Paleozoico erano dei presunti insettivori. I reperti fossili indicano che gli artropodi si nutrivano di vegetali già nel medio Carbonifero, molto prima dei tetrapodi; è quindi plausibile che gli insetti ingeriti, specialmente le forme erbivore che ospitavano i microrganismi nel proprio intestino, fossero l'originaria fonte di endosimbionti fermentanti.

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Lo spunto me l'ha dato Franci_fra3, che aveva descritto la digestione della cellulosa in un altro topic in maniera assolutamente sintetica, ma efficacissima.

Io ho solo aggiunto un po' di colore e qualche nota sull'evoluzione dell'erbivoria.

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Recentemente (2016) è stato isolato da un porcellino d'india domestico un nuovo ceppo di streptococco in grado di digerire la cellulosa.

Ricordiamo che il porcellino d'india (Cavia porcellus) è un roditore erbivoro della famiglia Cavidae nativo del Sud America. Il consumo di notevoli quantità di vegetali implica che il suo microbioma intestinale produca enzimi in grado di degradare la cellulosa. La cellulosa può essere degradata da microrganismi come batteri e funghi in grado di produrre enzimi che possono idrolizzare la cellulosa a cellobiosio e glucosio, molecole che possono essere ulteriormente metabolizzate per il fabbisogno energetico dell'animale.

Tra i batteri cellulosolitici c'è il genere Streptococcus, che comprende un'ampia varietà di specie in grado di vivere in ambienti diversi, incluso il tratto gastrointestinale degli erbivori.

Il nuovo ceppo di streptococco, presente in campioni fecali di cavia domestica, era in grado di degradare mono e disaccaridi vegetali e carboidrati polimerici. Il batterio è stato caratterizzato e sequenziato; era di forma ovale, non mobile, non sporigeno, Gram-positivo e anaerobio facoltativo e gli è stato attribuito il nome di Streptococcus caviae (ceppo Cavy grass 6T).

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Molto interessante questa scoperta, grazie Paolo per averla condivisa in Forum.

Anche se però esiste questa possibilità di digerire la cellulosa, credo bisogna comunque prestare molta attenzione al fatto che ingerendo quantità di carta o cartone le cavie possono andare incontro a gravi occlusioni intestinali.

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Anche se però esiste questa possibilità di digerire la cellulosa, credo bisogna comunque prestare molta attenzione al fatto che ingerendo quantità di carta o cartone le cavie possono andare incontro a gravi occlusioni intestinali.

Certo, anche perché per fare la carta o il cartone occorre produrre una "pasta di legno" e a questa aggiungere altre sostanze chimiche: in definitiva un prodotto tutt'altro che naturale.

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