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paolo

Una larva di tarma è in grado di digerire la plastica.

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Ne avrete letto o sentito nei notiziari: una ricercatrice italiana ha scoperto che una particolare specie di larva di lepidottero è in grado di digerire la plastica.

Le plastiche sono polimeri sintetici difficilmente biodegradabili. Il polietilene (PE) e il polipropilene (PP) rappresentano oltre il 90% della produzione di materie plastiche.

In particolare, con il polietilene si producono oltre un trilione (un miliardo di miliardi) di sacchetti di plastica all'anno.

Nei 27 paesi dell'Unione Europea, più la Svizzera e la Norvegia, il 38% della plastica viene smaltita in discarica, il 26% viene riciclata e il 36% è usato per la conversione in energia mediante combustione (con un notevole impatto ambientale). Si evince quindi l'urgenza per nuove soluzioni per la degradazione della plastica.

I ricercatori descrivono la rapida biodegradazione del polietilene ad opera della larva della tarma della cera, Galleria mellonella, con produzione di glicol etilenico.

G. mellonella

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La struttura del polietilene è costituita da una lunga serie di atomi di carbonio resistente alla degradazione; in opportune condizioni e in un tempo misurabile in settimane o mesi è possibile raggiungere un minimo grado di demolizione del polimero.

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La degradazione ad opera delle larve di G. mellonella è invece molto rapida; lasciando una pellicola di polietilene a diretto contatto con le larve dopo 40 minuti appaiono dei buchi, con un ritmo di 1-3 buchi per larva ogni ora.

Le figure 1A e 1B mostrano il risultato che si ottiene lasciando 100 larve in contatto con una borsina di plastica per la spesa per 12 ore, con una perdita di 92 mg di materia plastica. Per escludere che le larve si limitassero a bucare il sacchetto mediante semplice azione masticatoria, un omogenato di larve fu lasciato in contatto con la plastica: dopo 14 ore si perdeva un 13% di massa del sacchetto (figura 1C).

Per appurare se l'omogenato era in grado di degradare il PE si fece ricorso alla spettroscopia in trasformata di Fourier (FTIR) per evidenziare i prodotti di demolizione del polietilene: nel campione sottoposto all'azione dell'omogenato appariva un nuovo picco a circa 3,350 cm-1 corrispondente al glicol etilenico (figura 1D, linea rossa) , mentre un picco in corrispondenza di 1700 cm-1 era riferibile al legame carbonile C=O (figura 1E, linea rossa).

Una ulteriore analisi mediante microscopia a forza atomica (AFM) ha mostrato una evidente alterazione della topografia della superficie del polietilene dopo trattamento con omogenato (figure 1F e 1G).

Questi risultati dimostrano che il contatto fisico con l'omogenato di larve modifica l'integrità della superficie del polimero.

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Ma cosa consente alle tarme della cera di scindere dei legami chimici normalmente non suscettibili ad essere degradati? Queste tarme depongono le loro uova nei favi delle arnie e il bruco, detto anche camola del miele, cresce nutrendosi della cera prodotta dalle api.

tarma della cera o camola del miele

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Al momento non è chiaro se la capacità di rompere i legami carbonio-carbonio presenti nella cera (e nel polietilene) sia una capacità dell'organismo di questo lepidottero o se sia opera di enzimi della loro flora batterica intestinale, ma certamente questa osservazione apre nuove prospettive per le biotecnologie applicate alla sostenibilità ambientale.

Fonte:

Bombelli P, Howe CJ, Bertocchini F. Polyethylene bio-degradation by caterpillars of the wax moth Galleria mellonella. Current Biology 2017; 27: R292-293.

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L'osservazione dei ricercatori è interessantissima, ma come applicarla praticamente nella realtà è tutto da vedere.

Basti pensare che il prodotto di questa veloce demolizione del polietilene ad opera del bruco è il glicol etilenico, che è anch'esso una sostanza tossica.

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Eh, c'è sempre il rovescio della medaglia...

Al di là degli entusiasmi bisogna pensare poi alla parte pratica...

Intanto però si è vista una cosa inaspettata, si vedrà se potranno esserci davvero applicazioni.

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Questo è uno dei motivi per cui ricerche come quella citata sono così importanti: l'isola che non c'è... ancora! Due immensi vortici nell'Oceano Pacifico il più grande dei quali contiene, secondo diverse stime, tra tre e cento milioni di tonnellate di detriti di plastica, in certi punti talmente addensati da poterci letteralmente camminare sopra.

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Da parte nostra cerchiamo di fare quel pochissimo che possiamo, banalmente non lasciando al caso gli avanzi di plastica, ma differenziandoli negli appositi contenitori.

Per un brevissimo approfondimento: https://www.architetturaecosostenibile.it/materiali/plastica/isola-plastica-oceani-046/

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